Tutte le cose belle, prima o poi arrivano inevitabilmente ad una fine. Tutti i viaggi si concludono con l’arrivo alla meta prevista: alcuni sono molto brevi, altri sono lunghi, tortuosi e pieni di imprevisti. Ogni volta che ti guardi indietro e ti fermi, per raccontare uno di questi tuoi viaggi, il primo pensiero che ti viene in mente è che il percorso è la parte davvero importante di tutto, non la meta o il traguardo raggiunto. E oggi è arrivato il mio turno di sedermi, girarmi e raccontarvi un po’ del mio viaggio qui, a Metagame.it, prima di chiudere gli occhi ed iniziare un nuovo viaggio.
Scrivere mi è sempre piaciuto, fin da quando ero piccolo e tenevo per gioco un diario della mia vita romanzando ogni piccolo accadimento di quella che era l’intensa vita di uno studente delle elementari. Inutile dire che quel fantastico scritto che trattava di tematiche tanto attuali quanto passate come il bullismo, l’amore non corrisposto, la fatica di un bambino obeso nel fare cinque piani di scale ogni giorno, è ormai andato perduto. Ciononostante non ho mai smesso né di scrivere né quantomeno di leggere, il che mi ha aiutato tanto a sviluppare un mio personale stile di scrittura (anche se definire “stile” il mio modo di mettere nero su bianco i pensieri mi sembra quantomeno esagerato, se non eccessivo). Con l’arrivo di Magic nella mia vita, nel lontano 1999 se non ricordo male, diciamo che queste due passioni si sono andate a fondere mano a mano che la mia conoscenza con il gioco andava ad acuirsi: iniziavo a giocare mazzi veri, iniziavo ad assaporare quello che significava giocare in ambito “competitivo”, capivo cosa erano le leghe e, con l’approdo alle scuole superiori, cresceva anche la voglia di confrontarsi con giocatori più esperti, più forti, più navigati. Era il periodo di Kamigawa, di Mirrodin e di Affinity, e l’approccio ai diversi formati di gioco era difficile per chi veniva dal giocare “con le carte che si hanno in casa”. Il panorama competitivo della mia città poi non aiutava i neofiti, e si viveva in uno strano mondo in cui vigeva davvero la regola del più forte: se non combattevi venivi mangiato, e se venivi mangiato non c’era possibilità di risalire la catena alimentare. Bisognava adattarsi, imparare, capire e soprattutto giocare, e giocare tanto. Vivere Magic per me in quel periodo era una completa liberazione da tutti quegli oneri (seppur miseri, visti con gli occhi di oggi) che affliggevano un adolescente: conclusasi la giornata scolastica, si rimaneva il pomeriggio in sede, aspettando l’apertura della fumetteria vicina alla scuola, anelando quei momenti in cui potevi tirare fuori le figurine dallo zaino e iniziare a mescolare carte fino al calare della sera, prima di fare la più classica corsa disperata per prendere l’ultimo treno utile per tornare a casa. E a volte lo mancavi pure, con conseguente telefonata costernata ai genitori e lavata di capo con l’obiettivo di renderti più responsabile, consci del fatto che non sarebbe successo.
Magic per me è sempre stato uno sfogo, un evadere dalla realtà, come lo è leggere un libro immergendosi nella storia che viene raccontata, così lo smazzare figurine ti poneva su un piano in cui la tua vita non era messa in dubbio, ma contava solo la prossima pescata, la fase d’attacco o lo sperare che quella magia andasse in porto per risollevare gli esiti della partita. Chi eri non contava, quello che studiavi non significava nulla, solo il gioco era al centro di quel momento: e in quel momento capivi che non era solo un gioco di carte, ma qualcosa di più. Era un allenamento a pensare, un contorto intricato di strategie, una sfida a più strati contro il tuo avversario per guadagnare punti. E ad ogni partita che affrontavi capivi sempre più cose, ti sviluppavi e crescevi, pur non essendone conscio. Questo atteggiamento verso il gioco, questo spirito di sviluppo e di conoscenza è uno dei tratti che mi è sempre piaciuto di Magic: non è un gioco ripetitivo a meno che tu non lo imposti in quel modo. Non è un gioco in cui devi sistematicamente fare le stesse mosse per arrivare alla conclusione. Non è un gioco in cui tutte le partite sono simili, gli esiti sono già scritti e le variabili in gioco sono tutte egualmente prevedibili e soppesabili. Tutti lo sappiamo, tutti abbiamo imparato a capire che qualsiasi cosa può succedere all’interno di una normale partita di Magic, e tutti ormai sanno che esistono risultati attesi, ma non esistono risultati certi.
Qualche anno dopo la fine delle superiori e il conseguente allontanamento dagli svaghi causato dell’avvento dell’università, Magic tornò prepotentemente a bussare alla mia porta. Avevo lasciato il gioco durante la sua fase più luminosa, mentre si esplorava la grandiosa Ravnica ed il suo mondo dominato dalle dieci gilde, senza mai sapere i piani che si svilupparono durante quel blocco, avendo avuto modo di giocarne solo la primissima espansione. Molte cose erano cambiate da quel periodo e la nuova espansione che si affacciava, Zendikar, prometteva intense avventure. La zona in cui abito è meravigliosa per quello che concerne il Magic, sia esso preso in un contesto di puro svago, sia esso inteso in ambito fortemente competitivo. Non fu difficile riuscire a trovare una piccola community con cui poter tornare a giocare, partendo dalle basi del limited, facendo prerelease e crescendo tutti insieme. Non sono mai stato una cima in questo gioco: certo, ho avuto i miei momenti di gloria e ho vinto molte cose che volevo vincere, ma non sono mai stato un giocatore eccelso. Tuttavia, in quella piccola community eravamo tutti pseudoneofiti, ed è stato bello poter partecipare ad una crescita continua del nostro piccolo circolo di amici, che dapprima giocavano mazzi molto fantasiosi e con meccaniche particolarmente complesse, e che adesso, dopo quasi 10 anni insieme, si divertono a discutere di Metagame Legacy avanzati, piazzando anche diversi risultati nelle leghe della zona.
Come accadono le cose belle, che creano legami e fondano future amicizie, così da un giorno all’altro succedono eventi catastrofici. La morte di mio padre fu una di quelle, ormai sette anni fa. Fu un periodo difficile per tutta la mia famiglia: mia madre ancora oggi ne porta i segni, mia sorella ha tratto forza da sua figlia e io sono riuscito a gestire molte delle emozioni proprio grazie alle persone care delle mia vita, e a questo gioco. Magic ha assunto una nuova sfaccettatura in quella che è ormai la mia vita di tutti i giorni e, nonostante abbia provato più volte a distaccarmi da esso, non l’ho mai fatto con la convinzione necessaria, perché effettivamente non voglio farlo. Magic mi ha dato una valvola di sfogo in quei periodi bui in cui vuoi solo piangere, in cui niente ha senso e tutto ti sembra vuoto. Eppure, prendere sessanta carte in mano e mescolarle mi donava un senso di pace come nient’altro al mondo poteva fare. Quello e l’abbraccio di chi ti vuole bene sono stati i motori per rialzarmi e continuare a vivere.
Sarò melenso, forse al limite dell’incredibile e probabilmente starò esagerando, ma Magic in un certo senso mi ha salvato dal nichilismo e dell’autodistruzione. Chi mi conosce bene sa che sono una persona fortemente negativa, che penso sempre alle possibilità peggiori e che spesso e volentieri metto in conto che vada tutto male, come esposto nelle leggi di Murphy. Questo mio carattere è frutto di delusioni in diversi campi della vita, ma ho capito che bisogna rialzarsi, affrontare quello che la vita propone e andare avanti a testa alta, sempre. E ho continuato a giocare, nonostante possa sembrare strano che un ragazzo di oltre vent’anni si confronti con un gioco di figurine piuttosto che con la sua realtà universitaria. Ho lottato molto per cercar di far capire a mia madre che le “figurine” non sono solo un gioco, ma a volte certe battaglie sono perse in partenza, a prescindere da quanto impegno e foga ci metti nel combatterle.
Non ho mai smesso di giocare davvero e, nel 2012, ho coronato uno dei sogni di tanti ragazzi che si approcciano a questo gioco e lo portano avanti per anni: disputare un Pro Tour. Certo, non feci nessun risultato di rilievo (anzi, non vinsi nemmeno un game di quel Pro Tour), ma il solo essere li, nella stessa stanza con quelle persone che fino a pochi giorni primi guardavi in streaming è stato qualcosa di eccezionale. Tutto era magico, non era il classico torneo e l’aria nella stanza era diversa: ero nella stessa stanza dei migliori giocatori del mondo, e tutti potevano confrontarsi l’un l’altro. Vedere Finkel, Kibler, Woods e tanti altri ridere e scherzare per i padiglioni della sala era qualcosa di indescrivibile. Non mi importava di fare bene, ero già contento, avevo raggiunto un obiettivo e nessuno me lo avrebbe mai potuto portare via. Ero felice di esserci, questo era davvero importante. Se mai vi chiederete se ne vale davvero la pena di grindare PPTQ, di fare tutti quei GP sperando in una qualificazione, sappiate che la risposta c’è ed è un sonoro si. Se non mi credete, provate a chiedere a Samuele Gallinari, lui saprà sicuramente essere più convincente di me in questo senso.
Se il 2012 fu l’anno che segnò il mio personale (seppur risicato) picco di competitività nell’ambito di Magic, l’anno dopo fu l’inizio di questo viaggio con Metagame.it, partendo da un piccolo report scritto dopo aver partecipato al torneo Standard svoltosi al Modena Play. Il mio livello di scrittura ai tempi era molto limitato, ma ad Alex piacque e, mano a mano, diventai sempre più affine alla scrittura, e sempre più amico con Alex. Fu intesa quasi da subito, diventammo amici e mi aprì le porte della redazione di questo sito. Diventare parte di questa community era ancora più intrigante e una sfida che colsi al volo: riuscire ad unire scrittura e figurine fu l’ennesimo traguardo. Fu molto più complesso riuscire ad instaurare un seguito di lettori affezionati, ma in questo posso solo ringraziarvi per aver creduto in quella pazza idea che era il Sondaggissimo, che andrà a mutarsi nella nuova rubrica Building on a Budget di cui a breve sapremo il nome (o i nomi) del curatore (o curatori).
Metagame.it mi ha dato tanto, e spero di aver dato tanto anche a loro, sia sul piano di scrittore e lavorativo a livello di redazione, sia sul piano personale. Ho conosciuto tantissime persone fantastiche, a partire da Alex stesso, passando per Adrian, ormai mio compagno inseparabile di avventure a tema Magic, Federico, Nicolò, Diablo e tanti altri che, nel bene o nel male, mi hanno insegnato qualcosa. In questi ormai quattro anni di “attività” su questo sito penso di aver scritto davvero tanto: report di tornei, vittorie, bagordi con amici, cocenti sconfitte, analisi di mazzi, di set, castronerie varie nel limited, insulti velati e ammirazioni incontrastate. Spero di avervi fatto ridere più volte di quelle che avete storto il naso leggendo quello che scrivevo, e se anche fossi riuscito ad insegnare qualcosa anche ad un singolo lettore, mi riterrei soddisfatto di tutto il duro lavoro che ho riversato in questi anni su questa piattaforma.
Siccome non si smette mai di imparare, recentemente mi sono affacciato al panorama Pauper. Come avrete visto, spesso e volentieri cercavo di infilare argomenti di questo settore nella mia rubrica, interessandomi molto a questo formato. Anch’esso mi ha dato tanto, ad incominciare dalla ritrovata gioia di giocare. Sapete, giocare per tanto tempo ad un gioco tenendo fortemente il paraocchi fisso solo sull’ambito competitivo, sulla voglia di vincere e sull’ottenere qualcosa da qualsiasi torneo in cui ci si iscrive fa virare molto la concezione del gioco stesso. Ci si perde in un mare di agonismo quando anche l’agonismo non esiste. Che senso ha imbruttirsi durante il torneo settimanale del negozio? Che senso ha arrabbiarsi perché l’avversario ha pescato l’out per salvarsi, quando in palio magari ci sono solo una manciata di bustine? E farsi il sangue amaro per un pairings sfavorevole? Stiamo giocando tra amici una sera in negozio, non di certo ad un GP in cui è consigliabile vincere per divertirsi. Il pauper mi ha riportato quello svago e quella leggerezza di gioco che con il Modern avevo perso. Le competitività, la voglia di primeggiare erano svaniti, era rimasto solo il gioco, la spensieratezza e la voglia di divertirsi. Ed è cosi che arrivano i risultati, senza cercarli. Perchè cercandoli (anzi, pretendendoli), quelli non arriveranno mai, testimone lo scorso weekend al King of Magic e all’Earthquake.
Ho divagato molto in tutto ciò. Questo non è un addio, non è niente di tutto questo. Metagame ormai è la mia seconda casa e mi sentirei perso ad abbandonarla, come mi sentirei vuoto a non smazzare più. Mi prendo una pausa. Una lunga pausa dalla scrittura. Con una manica di amici abbiamo in cantiere un nuovo progetto, un nuovo viaggio che vogliamo affrontare insieme. Per adesso stiamo ancora cercando di capire quali sono i preparativi che dovremo gestire e gli ostacoli da affrontare, ma siamo fiduciosi. Sarà un viaggio intraprendente, e speriamo ci porti lontano.
E voi siete tutti invitati.
Jimmy
Grazie a te per il tempo che ci hai dedicato!=) In bocca al lupo per il tuo progetto!=)
Magic è una passione e come tale fa parte della tua (nostra) vita, e sempre come tale non è possibile spiegarla a parole. E’ come l’amore per uno sport, come il senso di appartenenza a dei colori e ad una città… è un mix di emozioni e sentimenti a cui non puoi dare una definizione precisa nè una spiegazione razionale per tutti.
In sintesi ce ne fottiamo il cazzo se non capiscono cosa ci facciamo a 20+ anni a giocare con le cartine, perchè lo sappiamo noi. Ci fa stare bene.
Ti ho letto molto spesso e con piacere e con il cuore ti auguro il meglio per la tua avventura. Magic ci sarà sempre per te e spero vivamente che ci sarai anche tu per Magic! Best of luck Jimmy
p.s. ho sbroccato solo una volta leggendoti: quando, parlando di Modern (mi pare in un articolo di speculazione pre o post banlist), in 3 righe hai scritto 87 volte la parola “formato”
Ho letto tutti i tuoi articoli da quando ho conosciuto Metagame, mi mancherai! 😥
In bocca al lupo per il tuo progetto e Che le Magic siano con te!
Seguo sporadicamente ma ho sempre apprezzato il tuo impegno.
Grandissimo!